L’Impero fondato da Augusto, fin dai suoi albori, era suddiviso in gerarchie sociali piuttosto definite.
I senatori costituivano la classe sociale più potente, erano eredi di famiglie dell’antica nobiltà, possedevano patrimoni enormi, grandi estensioni di terreno (latifondi), aziende agricole (villae) e schiavi. Sebbene fosse loro vietato praticare il commercio, erano soliti aggirare la legge incaricando altri di occuparsi dei loro affari.
Erano inoltre soliti indossare un abito particolare, chiamato toga, che era un simbolo del loro rango. La toga era un indumento molto ingombrante e difficile da indossare, e per questo motivo i senatori avevano bisogno dell’aiuto di un assistente, chiamato “lictor”.
Le principali attività artigianali e mercantili erano invece controllate dai cavalieri, ovvero la classe degli imprenditori, che da Augusto in poi ebbe accesso agli incarichi di governo nelle province e ad altre cariche pubbliche.
Gli appartenenti a questa categoria erano spesso membri di collegi professionali, chiamati “collegia”, i quali svolgevano una serie di funzioni, tra cui la promozione degli interessi economici dei cavalieri e la fornitura di assistenza ai membri in difficoltà.
Scendendo ancora nella gerarchia vi erano i plebei: piccoli proprietari terrieri, contadini, artigiani, commercianti e coloro che svolgevano altri mestieri, come i fornai, gli insegnanti, gli operai ecc.
Pur essendo uomini liberi, i plebei non potevano intraprendere la carriera politica; tuttavia, a partire dal II secolo, ottennero l’opportunità di entrare nell’esercito e sperare nella distribuzione di terre e premi in denaro da parte dei generali in cambio delle loro imprese vittoriose.
Gli appartenenti a questa classe della gerarchia erano spesso molto religiosi. Erano devoti a una serie di divinità, tra cui Giove, Marte, Minerva e Venere. La religione era un importante elemento della vita dei plebei, perché forniva loro conforto e speranza.
Sul gradino più basso della società romana risiedevano, infine, gli schiavi. Venivano utilizzati per lo più come coltivatori nelle grandi proprietà terriere dei senatori o come collaboratori domestici presso le famiglie più ricche. Con il tempo, però, aumentarono sempre di più gli schiavi a cui erano assegnati compiti finanziari e commerciali, e che venivano posti a capo di piccole imprese.
Poteva anche capitare che gli schiavi più meritevoli venissero liberati dai loro padroni, prendendo il titolo di liberti. Dal I secolo d.C. i liberti ricoprirono ruoli sempre più prestigiosi. Ai liberti della famiglia imperiale, per esempio, fu affidata la gestione delle immense proprietà degli imperatori.
Prima della nascita dell’Impero le condizioni sociali erano definite e praticamente immutabili: chi nasceva schiavo rimaneva tale; i figli degli artigiani difficilmente riuscivano a intraprendere la carriera politica o militare.
Nella Roma imperiale, invece, c’erano molte più possibilità di cambiamento: gli individui potevano aspirare a migliorare la loro condizione, passando da una classe sociale all’altra.
Nella Roma imperiale, gli schiavi potevano essere liberati dai loro padroni in diversi modi: attraverso un atto di liberalità da parte del padrone, che poteva essere fatto in vita o per testamento, grazie al servizio militare, infatti gli schiavi che si distinguevano in guerra potevano essere liberati dal loro padrone o dall’imperatore stesso. Infine, gli schiavi potevano ottenere la libertà attraverso l’acquisto, in quanto era possibile comprare e vendere la libertà di uno schiavo.
I liberti non erano equiparati ai cittadini romani, ma godevano di alcuni diritti e privilegi, come il diritto di possedere proprietà, di sposarsi e di avere figli. I liberti più ricchi e influenti potevano anche accedere a cariche pubbliche e rivestire ruoli importanti nella società romana.
In questo periodo si aprirono nuove opportunità di carriera anche per le donne. Dal I secolo d.C. iniziarono a fiorire attività artigianali e commerciali dirette da donne, che divennero albergatrici, proprietarie di taverne, commercianti e proprietarie di navi.
Le donne erano spesso considerate esperte di medicina popolare e, in epoca imperiale, alcune di loro iniziarono a esercitare ufficialmente la professione medica.
Il divorzio era un’opzione complicata e costosa, ma era teoricamente possibile per le donne dell’età imperiale, le quali potevano divorziare dal marito per motivi come adulterio, violenza o incapacità di mantenere la famiglia.
A corte, nel frattempo, le donne della famiglia imperiale influenzavano le scelte politiche dei figli e dei mariti, e si resero protagoniste di congiure e intrighi per rovesciare il potere.
Esempio lampante ne è Agrippina Minore la quale, dapprima mandata in esilio dal fratello Caligola (imperatore dal 37 al 41) perché sospettata di aver ordito una congiura contro di lui, non appena ebbe la possibilità di tornare a Roma, fece di tutto per far salire sul trono il figlio Nerone il quale però, divenuto imperatore, la fece a sua volta uccidere.
Le donne della famiglia imperiale erano spesso coinvolte in attività filantropiche. Ad esempio, Faustina Minore, moglie di Antonino Pio, fu una grande benefattrice della città di Roma. Fondò numerosi ospedali, ospizi e scuole, e si interessò anche di questioni sociali come l’assistenza agli orfani e ai poveri.
Alcune donne della famiglia imperiale erano anche letterate e artiste. Ad esempio, Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, fu una poetessa e una scrittrice di talento. Scrisse diversi poemi e opere teatrali, e fu anche una grande sostenitrice delle arti e della cultura.