Nel primo secolo avanti Cristo, Roma governava un territorio che si estendeva dal Portogallo a ovest fino alla Siria a est, dalla Francia a nord fino al Nordafrica a sud.
I Romani chiamavano il Mediterraneo mare nostrum (mare nostro), perché ne controllavano sia le coste settentrionali sia quelle meridionali.
Già dal 509 a.C. Roma era una repubblica nella quale il Senato deteneva il potere legislativo e due consoli, che rimanevano in carica per un anno, possedevano potere esecutivo e militare.
Nel primo secolo a.C., le istituzioni repubblicane, però, non erano più in grado di governare e risolvere i problemi di un territorio così vasto, soprattutto perché le province erano abitate da popoli molto diversi tra loro per stirpe, lingua, cultura e costumi.
In questo periodo la stabilità del vecchio sistema di governo fu minacciata da una una serie di guerre civili volute da uomini politici e generali che ambivano a ottenere il potere.
Dalle guerre civili emerse Ottaviano il quale, nel 27 a.C., assunse il titolo di Augusto, cioè “degno di rispetto, di venerazione”.
Fu così che Roma divenne un Impero: tutti i poteri -legislativo, esecutivo, giudiziario e militare- vennero accentrati nelle mani di un solo uomo, detto princeps (“primo fra tutti”).
Augusto e i suoi successori iniziarono una serie di riforme che avrebbero reso più semplice mantenere il controllo sull’impero e consolidare il proprio potere. Fu dunque stabilito che in tutti i territori sarebbero state utilizzate un’unica lingua, ovvero il latino, una moneta unica e tutte le leggi sarebbero state emanante a Roma.
L’impero romano raggiunse la sua massima espansione tra il 98 e il 117, sotto la guida di Traiano, che conquistò la Dacia (odierne Romania e Moldavia, ricchissime di miniere d’oro e argento) e alcuni territori orientali, che permisero di controllare le vie commerciali più importanti verso l’Asia.
L’unificazione dell’impero divenne definitiva nel 212, grazie all’editto dell’imperatore Caracalla, che estese la cittadinanza romana a tutti gli uomini e donne liberi delle province.
Lo scopo dell’editto era di accrescere il numero di cittadini romani che, pagando le tasse, avrebbero incrementato le entrate nelle casse dello Stato, ma anche di eliminare le distinzioni fra conquistatori e conquistati e consentire agli abitanti delle province di partecipare alla vita politica occupando posti di comando nel Senato, nell’amministrazione e nell’esercito.
Grazie alla loro estensione e all’immensa varietà climatica, le province riuscivano a produrre tutto il necessario per soddisfare il fabbisogno alimentare dell’impero.
Dal Nordafrica, dall’Egitto e dalla Sicilia arrivavano grano e cereali; gli altri territori italiani, la Francia e la Spagna fornivano vino, olio, ortaggi, frutta, ma anche bovini, suini, ovini e pollame da allevamento.
A Roma arrivavano anche prodotti esotici, che venivano esibiti come segno di ricchezza:
oro, avorio, smeraldi, animali selvatici e schiavi dall’Africa;
spezie, incenso, seta e pietre preziose dall’Asia;
pellicce e ambra dal Mar Baltico lungo il corso dei fiumi Reno, Elba e Oder.
I commerci all’interno dell’impero erano facilitati dall’uso della moneta unica e dall’assenza di barriere doganali.
Grazie alla mancanza di confini interni, infatti, non si dovevano pagare tasse per la circolazione delle merci. Le regioni erano inoltre collegate alla capitale da un’ottima rete stradale e le vie marittime erano sicure.